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Parole
Arlequins - Arlecchini
La voce compare per la prima volta nel Larousse Gastronomique del 1938, poi ripresa nel Dictionnaire de l’Académie des Gastronomes del 1962.
Il primo a fornire una ampia descrizione del commercio di avanzi alimentari è Louis Sébastien Mercier che nell’opera Tableau de Paris (1783-9) riferisce anche come i mercati di avanzi prosperassero a Versailles prima della Rivoluzione.
Il primo a fornire una ampia descrizione del commercio di avanzi alimentari è Louis Sébastien Mercier che nell’opera Tableau de Paris (1783-9) riferisce anche come i mercati di avanzi prosperassero a Versailles prima della Rivoluzione.
Bardasso
Bardasso è il soprannome di uno dei due assassini di Honnête Defouligne.
Nell’antica Roma i bardassi - lenonii pueri - avevano un giorno di festa che era il 25 Aprile, collegato a quello delle meretrici che cadeva il 23 Aprile come si evince anche dai Fasti Prenestini: ≪festus est puerorum lenoniorum quia proximus superior meretricum est≫
Nell’antica Roma i bardassi - lenonii pueri - avevano un giorno di festa che era il 25 Aprile, collegato a quello delle meretrici che cadeva il 23 Aprile come si evince anche dai Fasti Prenestini: ≪festus est puerorum lenoniorum quia proximus superior meretricum est≫
Bettolino
L’evoluzione del bettolino è oggi il cosiddetto SOPRAVVITTO, ovvero Vitto sostitutivo o aggiuntivo dei pasti ordinari, che il recluso si procura a proprie spese.
Rimane la formula dello spaccio interno in cui si può comprare di tutto, e gli acquisti vengono fatti tramite le liste compilate dagli “spesini” sulla base delle richieste dei detenuti e consegnate all’ufficio preposto alla gestione delle procedure .
È evidente come il sopravvitto abbia mantenuto la stessa impronta lavorativa ottocentesca del bettolino, con metodologie di approvvigionamento che oltretutto vedono gli “spesini” spesso sono coinvolti in vari traffici approfittando della libertà di movimento all’interno dell’istituto, determinata dalla necessità di prelevare i generi dall’impresa di mantenimento per distribuirli nei reparti detentivi.
Rimane la formula dello spaccio interno in cui si può comprare di tutto, e gli acquisti vengono fatti tramite le liste compilate dagli “spesini” sulla base delle richieste dei detenuti e consegnate all’ufficio preposto alla gestione delle procedure .
È evidente come il sopravvitto abbia mantenuto la stessa impronta lavorativa ottocentesca del bettolino, con metodologie di approvvigionamento che oltretutto vedono gli “spesini” spesso sono coinvolti in vari traffici approfittando della libertà di movimento all’interno dell’istituto, determinata dalla necessità di prelevare i generi dall’impresa di mantenimento per distribuirli nei reparti detentivi.
Bijoutièrs
L’uso gergale del termine bijoux per definire un avanzo di cibo venduto al mercato si trova per la prima volta in “Trésor de la langue française. Dictionnaire de la langue du XIX et du XX siècle (1789-1960)” ed. du CNRS/Gallimard, Paris 1971-1994.
Chierichetto
La storia del vino a Roma è da secoli strettamente collegata alla presenza dei Papi, che avevano interesse a regolarne la vendita e la somministrazione sia per una questione di ordine pubblico che economica, grazie alle entrate ricavate dalle tasse.
Fino al XVI secolo il vino veniva servito in recipienti di terracotta, cosa che dava luogo a frodi in quanto gli osti non versavano la misura giusta. Fu Papa Sisto V a introdurre i recipienti in vetro ancora oggi usati nelle osterie.
E fu Papa Gregorio XIII a introdurre la mezza fojetta, ovvero il quarto di litro. Nel 1588 con un bando furono introdotte le misure ufficiali relative ai contenitori:
2 litri = barzillai (l’uomo che aiutò Re Davide e che la Bibbia definisce “un uomo molto grande” ma un’altra fonte dice fosse attribuito all’On. Barzilai che offriva questa misura nella campagna elettorale)
1 litro = tubbo
1/2 litro = fojetta
1/4 litro = quartino o mezza fojetta
1/5 litro = chierichetto
1/10 litro = sospiro o sottovoce (chi lo ordinava cercava di non farsi sentire per la vergogna di non poter ordinare una quantità maggiore)
Fino al XVI secolo il vino veniva servito in recipienti di terracotta, cosa che dava luogo a frodi in quanto gli osti non versavano la misura giusta. Fu Papa Sisto V a introdurre i recipienti in vetro ancora oggi usati nelle osterie.
E fu Papa Gregorio XIII a introdurre la mezza fojetta, ovvero il quarto di litro. Nel 1588 con un bando furono introdotte le misure ufficiali relative ai contenitori:
2 litri = barzillai (l’uomo che aiutò Re Davide e che la Bibbia definisce “un uomo molto grande” ma un’altra fonte dice fosse attribuito all’On. Barzilai che offriva questa misura nella campagna elettorale)
1 litro = tubbo
1/2 litro = fojetta
1/4 litro = quartino o mezza fojetta
1/5 litro = chierichetto
1/10 litro = sospiro o sottovoce (chi lo ordinava cercava di non farsi sentire per la vergogna di non poter ordinare una quantità maggiore)
Ciriola
Ciriola è il soprannome dato a Lorenzetto Greti, uno dei due assassini di Honnête Defouligne.
Figlio dello scacciaragnaio Pietro Greti, aveva appena 6 anni quando il padre morì ammazzato con una coltellata nei polmoni.
Da allora prese il soprannome di ciriola perché sgusciava via ogni volta che lo chiudevano in qualche orfanotrofio.
.
A Roma, ciriola indica anche un tipo di pane simile a un filoncino, fino a qualche decennio fa molto comune ma oggi più difficile da trovare nei forni.
La ciriola deve il suo nome alla forma allungata, anche se altre fonti attribuiscono il nome al colore giallo paglierino della mollica, legandolo così al senso più strettamente etimologico del termine latino cereŏla, femm. dell’agg. cereŏlus «del colore di una candela».
Figlio dello scacciaragnaio Pietro Greti, aveva appena 6 anni quando il padre morì ammazzato con una coltellata nei polmoni.
Da allora prese il soprannome di ciriola perché sgusciava via ogni volta che lo chiudevano in qualche orfanotrofio.
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A Roma, ciriola indica anche un tipo di pane simile a un filoncino, fino a qualche decennio fa molto comune ma oggi più difficile da trovare nei forni.
La ciriola deve il suo nome alla forma allungata, anche se altre fonti attribuiscono il nome al colore giallo paglierino della mollica, legandolo così al senso più strettamente etimologico del termine latino cereŏla, femm. dell’agg. cereŏlus «del colore di una candela».
Froscio
A parte “frusone”, il termine sarebbe riconducibile anche “frisone” aggettivo che indica le lingue germaniche occidentali (la Frisia è una regione costiera del Mare del Nord) e per estensione in passato indicava gli stranieri provenienti da quelle zone.
Altre ricerche sull’origine del termine e sul suo più diffuso utilizzo per indicare un omosessuale, riconducono a diverse etimologie
In un approfondito ed esaustivo articolo, @dallortogiovanni riporta una serie di spiegazioni e utilizzi della parola.
Quanto segue è uno stralcio, l’intero articolo di cui consiglio la lettura è su http://www.giovannidallorto.com/cultura/checcabolario/frocio.html
.
.
In Feroce, floscio o al limite gay pubblicato su "Paese sera", 22 ott. 1985, p. 5 Massimo Consoli individua tre possibili origini
1) La prima da feroci, epiteto lanciato contro i lanzichenecchi che misero a sacco Roma nel 1527 e che nella loro furia stuprarono indistintamente uomini e donne.
2) La seconda fa riferimento a una non meglio identificata "fontana delle froge" (narici) presso cui anticamente si sarebbero riuniti gli omosessuali romani.
3) La terza infine si richiama a floscio (a sua volta dallo spagnolo flojo) con la tipica rotacizzazione del romanesco (in cui altra volta diviene artra vorta, e floscio, froscio), e che indicherebbe sia l'incapacità dei froci ad averlo "tosto" con le donne, sia la loro mollezza.
In generale, l'etimologia più diffusa (proposta da Chiappini, accennata anche nel Battaglia ed accettata da De Mauro) mette in relazione con froscio / frocio i perversi costumi (sessuali e non) dei lanzichenecchi del papa, che fra l'altro sarebbero stati spesso e volentieri ubriachi, ed avevano quindi le "froge" (narici) del naso rosse e gonfie. Da qui l'epiteto di frogioni / frocioni che nella seconda forma è ancora in uso (seppur con il nuovo significato) a Roma.
Altre ricerche sull’origine del termine e sul suo più diffuso utilizzo per indicare un omosessuale, riconducono a diverse etimologie
In un approfondito ed esaustivo articolo, @dallortogiovanni riporta una serie di spiegazioni e utilizzi della parola.
Quanto segue è uno stralcio, l’intero articolo di cui consiglio la lettura è su http://www.giovannidallorto.com/cultura/checcabolario/frocio.html
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In Feroce, floscio o al limite gay pubblicato su "Paese sera", 22 ott. 1985, p. 5 Massimo Consoli individua tre possibili origini
1) La prima da feroci, epiteto lanciato contro i lanzichenecchi che misero a sacco Roma nel 1527 e che nella loro furia stuprarono indistintamente uomini e donne.
2) La seconda fa riferimento a una non meglio identificata "fontana delle froge" (narici) presso cui anticamente si sarebbero riuniti gli omosessuali romani.
3) La terza infine si richiama a floscio (a sua volta dallo spagnolo flojo) con la tipica rotacizzazione del romanesco (in cui altra volta diviene artra vorta, e floscio, froscio), e che indicherebbe sia l'incapacità dei froci ad averlo "tosto" con le donne, sia la loro mollezza.
In generale, l'etimologia più diffusa (proposta da Chiappini, accennata anche nel Battaglia ed accettata da De Mauro) mette in relazione con froscio / frocio i perversi costumi (sessuali e non) dei lanzichenecchi del papa, che fra l'altro sarebbero stati spesso e volentieri ubriachi, ed avevano quindi le "froge" (narici) del naso rosse e gonfie. Da qui l'epiteto di frogioni / frocioni che nella seconda forma è ancora in uso (seppur con il nuovo significato) a Roma.
Fourneau à la Rumford
Intorno al 1728 iniziarono a diffondersi sempre di più nelle cucine i fornelli in ghisa, i primi modelli a cinque piastre erano di manifattura tedesca.
Intorno al 1800, il Conte Rumford ideò una stufa adatta per grandi cucine in grado di convogliare il calore e massimizzare la resa con notevole risparmio energetico e di tempo. Il fornello Rumford aveva una sorgente di fuoco che serviva più pentole per ciascuna delle quali la temperatura poteva essere regolata individualmente. Tuttavia, fu solo in epoche successive che si giunse a progettare modelli di stufa meno ingombranti e adatti per un uso domestico.
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Oltre che ai fourneaux, il Conte Rumford applicò i propri studi sul calore anche i camini delle case, progettando un camino con pareti trapezioidali tali da convogliare il calore al centro delle stanze e il fumo rapidamente nella canna fumaria. Per questo motivo in Inghilterra veniva ricordato come “l’uomo che tolse il fumo dalle case di Londra”.
Intorno al 1800, il Conte Rumford ideò una stufa adatta per grandi cucine in grado di convogliare il calore e massimizzare la resa con notevole risparmio energetico e di tempo. Il fornello Rumford aveva una sorgente di fuoco che serviva più pentole per ciascuna delle quali la temperatura poteva essere regolata individualmente. Tuttavia, fu solo in epoche successive che si giunse a progettare modelli di stufa meno ingombranti e adatti per un uso domestico.
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Oltre che ai fourneaux, il Conte Rumford applicò i propri studi sul calore anche i camini delle case, progettando un camino con pareti trapezioidali tali da convogliare il calore al centro delle stanze e il fumo rapidamente nella canna fumaria. Per questo motivo in Inghilterra veniva ricordato come “l’uomo che tolse il fumo dalle case di Londra”.
Maritozzo
Nel vocabolario nomenclatore del Premoli del 1913, il maritozzo (anche maritozzolo) è definito come “sorta di pane che si fa a Roma durante la Quaresima” nonché poi specificato in una seconda voce “con aggiunta di zucchero, olio, uva passa, finocchi, anice ecc.”
C’è chi accenna che preparazioni simili fossero già presenti nell’antica Roma, ma è nell’800 che l’interesse e la fantasia dei romani si scatena intorno a questo dolce-nondolce, e al significato del suo nome.
Tutti concordi che il nome “maritozzo” sia etimologicamente legato al “marito” e all’atto del maritarsi, c’è chi racconta che venisse donato dall’uomo alla futura sposa il primo venerdì di marzo, e all’interno fosse nascosto l’anello della proposta di matrimonio. Un’altra versione riporta di un dolce a forma di cuore preparato dalle ragazze in età da marito che poi lo regalavano all’uomo che avrebbero voluto sposare, il quale avrebbe scelto per moglie quella che avesse preparato il maritozzo più buono. Infine, voce fuori dal coro il dizionario italiano della Oxford University (sic) lo riferisce sì al marito, ma perché “ne ricorda il membro virile”, e con questo mi pare che non ci sia molto altro da aggiungere.
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Ne scrissero autori come il Belli e Zanazzo, e Adone Finardi gli dedicò un poemetto in sei canti dal titolo
LI MARITOZZI CHE SE FANNO LA QUARESIMA A ROMA
raccontando una storia di Re, guerre e reami, finita poi nel migliore dei modi.
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“Prese Fiore, Pignoli e Passerina/Zuccaro e Cannito e Zibbibbetto,/ Acqua e Levito e, in quanto a la cucina, / se servitte de Forno e Legno schietto; / impastò, cucinò e da Mari e Tozzi, / je dette er nome, poi, de maritozzi".
.
Nel romanzo, il maritozzo è il dolce dell’infanzia di don Pattumelli.
C’è chi accenna che preparazioni simili fossero già presenti nell’antica Roma, ma è nell’800 che l’interesse e la fantasia dei romani si scatena intorno a questo dolce-nondolce, e al significato del suo nome.
Tutti concordi che il nome “maritozzo” sia etimologicamente legato al “marito” e all’atto del maritarsi, c’è chi racconta che venisse donato dall’uomo alla futura sposa il primo venerdì di marzo, e all’interno fosse nascosto l’anello della proposta di matrimonio. Un’altra versione riporta di un dolce a forma di cuore preparato dalle ragazze in età da marito che poi lo regalavano all’uomo che avrebbero voluto sposare, il quale avrebbe scelto per moglie quella che avesse preparato il maritozzo più buono. Infine, voce fuori dal coro il dizionario italiano della Oxford University (sic) lo riferisce sì al marito, ma perché “ne ricorda il membro virile”, e con questo mi pare che non ci sia molto altro da aggiungere.
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Ne scrissero autori come il Belli e Zanazzo, e Adone Finardi gli dedicò un poemetto in sei canti dal titolo
LI MARITOZZI CHE SE FANNO LA QUARESIMA A ROMA
raccontando una storia di Re, guerre e reami, finita poi nel migliore dei modi.
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“Prese Fiore, Pignoli e Passerina/Zuccaro e Cannito e Zibbibbetto,/ Acqua e Levito e, in quanto a la cucina, / se servitte de Forno e Legno schietto; / impastò, cucinò e da Mari e Tozzi, / je dette er nome, poi, de maritozzi".
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Nel romanzo, il maritozzo è il dolce dell’infanzia di don Pattumelli.
Zigoteau
La storia di Zigoteau narrata nel libro è ispirata a un fatto di cronaca riportato dal Journal de Paris: il cronista indignato si scagliava contro la marmaglia che metteva in pericolo la sicurezza della brava gente.
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